Alcologiarassegna stampa su vino, birra e altri alcolici del 17 febbraio 2025

17 Febbraio 2025
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RASSEGNA STAMPA SU VINO, BIRRA E ALTRI ALCOLICI

A cura di Roberto Argenta, Guido Dellagiacoma, Alessandro Sbarbada

SANITAINFORMAZIONE.IT

Alcol, Oms: “Introdurre etichette obbligatorie sui rischi di cancro”

Con la sua proposta l’Oms vuole rispondere al crescente numero di morti
legate all’alcol, circa 800mila ogni anno

di Isabella Faggiano

Etichette visibili su tutte le bevande alcoliche che avvertano i consumatori
dei rischi di cancro. È questa la proposta dell’Organizzazione mondiale
della Sanità (Oms) per rispondere al crescente numero di morti legate
all’alcol, circa 800mila ogni anno. L’Oms lancia la sua proposta
all’indomani della pubblicazione di un nuovo rapporto “Etichette di
avvertenza sanitaria sull’alcol: una prospettiva di salute pubblica per
l’Europa” che evidenzia una scarsa consapevolezza tra la popolazione sui
rischi per la salute legati al consumo di bevande alcoliche. Dall’indagine
emerge, infatti, che solo il 15% degli intervistati sa che l’alcol può
causare il cancro al seno e solo il 39% è a conoscenza del suo legame con il
cancro al colon. L’Oms non propone semplicemente etichette chiare, ma
sottolinea anche che design e posizionamento di tali avvertenze sono
cruciali per sensibilizzare al meglio i consumatori.

Etichette di avvertenze chiare e ben visibili sull’alcol

Ad oggi, solo tre dei 27 paesi Unione Europea hanno implementato l’utilizzo
di queste etichette. “Etichette di avvertenze chiare e ben visibili
sull’alcol, che includono un’avvertenza specifica sul cancro, sono un
pilastro del diritto alla salute, perché forniscono alle persone
informazioni vitali per fare scelte consapevoli sui danni che i prodotti
alcolici possono causare. Fornire queste informazioni non toglie nulla ai
consumatori, al contrario, li arma di conoscenza, e la conoscenza è potere
“, dichiara Hans Henri P. Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa.
Per questi motivi, i paesi dovrebbero normarle e renderle obbligatorie
piuttosto che affidarsi all’autoregolamentazione dei produttori di alcolici,
“in quanto questi potrebbero optare per un posizionamento poco appariscente
e messaggi ambigui”.

Non affidarsi all’autoregolamentazione dei produttori di alcolici

Per l’Oms i QR code sui prodotti, non sono sufficienti: “sono stati
scansionati solo dallo 0,26% dei consumatori, evidenziando l’importanza di
etichette visibili”. Per Gauden Galea, consulente strategico del direttore
regionale, “le etichette di avvertenza sanitaria sugli alcolici sono una
parte importante della politica sugli alcolici. Soprattutto per le
generazioni più giovani, potrebbero aiutare a modellare comportamenti e
atteggiamenti più sani nei confronti dell’alcol”. Tra gli obiettivi del
Piano europeo contro il cancro, ridurre almeno del 10% l’uso di alcol entro
il 2025. Una delle principali attività del Piano è lo sviluppo di proposte
per fornire informazioni nutrizionali e sanitarie sulle bevande alcoliche.
Allo stesso modo, sia il Global Alcohol Action Plan 2022-2030 che il Quadro
europeo d’azione sull’alcol 2022-2025, propongono azioni prioritarie per
affrontare i danni correlati all’alcol, tra cui lo sviluppo e
l’implementazione di requisiti di etichettatura per le bevande alcoliche.

ANSA

Gravissima la bambina travolta da auto, guidatore era ubriaco

Carabinieri inviano carte in Procura a Vicenza

Rimangono gravissime nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Vicenza,
le condizioni della bambina di 10 anni, travolta ieri pomeriggio da un Suv a
Creazzo, uno dei comuni dell’hinterland del capoluogo, mentre si trovava con
il papà e il fratellino sul marciapiede.

L’automobilista, un vicentino di 50 anni alla guida della Hyundai Tucson , è
stato sottoposto all’alcoltest da cui è emerso che era al volante con un
elevato tasso alcolemico.

I Carabinieri della compagnia di Valdagno, che hanno svolto le indagini,
hanno informato la Procura di Vicenza che ora aprirà un’inchiesta per fare
piena chiarezza sul drammatico incidente.

Nell’incidente, illeso il padre della piccola, è stato coinvolto anche il
fratellino che è rimasto ferito ad una mano, ma le sue condizioni non
destano preoccupazioni.

WINENEWS

“Il vino non è solo alcol, non è sballo, ma sta alla base della tavola e
della cucina”

A WineNews, Gian Marco Centinaio, vicepresidente del Senato ed ex Ministro
dell’Agricoltura, ma anche appassionato di enogastronomia ed enoturismo

winenews.it/it/il-vino-non-e-solo-alcol-non-e-sballo-ma-sta-alla-bas
e-della-tavola-e-della-cucina_549697/

A WineNews, Gian Marco Centinaio, vicepresidente del Senato ed ex Ministro
dell’Agricoltura, ma anche appassionato di enogastronomia ed enoturismo: “il
vino è sotto attacco. Serve evitare di partire allo sbaraglio, come è stato
fatto da altri settori, ed unire le forze in modo strutturato. La tutela di
questo prodotto deve coinvolgere tutte le istituzioni e tutta la politica,
che si devono lasciar aiutare anche da nuove tecnologie e ricerca
scientifica. Quello del vino è un alcol diverso dagli altri. (*) Il vino è
territorio e partecipa alla ricchezza e identità di ciascuno”.

(*) Nota: di seguito la rappresentazione della molecola dell’alcol. Non
sappiamo purtroppo distinguere se sia quella dell’alcol del vino o
dell’alcol degli altri alcolici.

RAINEWS

Ubriaco alla guida del tir nelle strade della città

Intorno alle 19. La polizia locale lo ha bloccato prima che potesse
provocare danni

La pattuglia della polizia locale lo ha notato perché il tir sbandava
visibilmente in una strada cittadina non lontano dal porto. Alla guida del
mezzo pesante un camionista di 51 anni proveniente dall’est Europa,
visibilmente ubriaco: dai test è stato rilevato un tasso alcolico parti a
circa 2,80 grammi per litro di sangue, a fronte del previsto tasso zero di
alcol prescritto per i conducenti professionali di mezzi pesanti.
Dall’analisi del registratore di bordo, gli agenti hanno rilevato non solo
che aveva raggiunto una velocità di 120 chilometri orari contro il limite di
90 fissato per il suo mezzo, ma che non aveva rispettato i tempi di riposo.
L’uomo è stato denunciato per guida in stato di ebrezza. La patente gli è
stata revocata mentre il tir che guidava è stato sottoposto a sequestro.

IL GIORNALE

Salute, multe e crolli in Borsa. L’anno orribile degli alcolici

Dopo il boom in pandemia, il settore ha fatto segnare un calo mondiale.
L’inflazione ha colpito i consumi voluttuari, i big hanno perso fortune sui
mercati e qualcuno è già fallito. Tra le nuove generazioni volano soltanto
gli analcolici

Marco Zucchetti

Non importa con cosa si brindi, né quanto si mangi per «asciugare»: dopo
ogni sbronza arrivano sempre postumi spiacevoli. E se questa amara realtà
vale per chiunque alzi troppo il gomito, paradossalmente vale ancor di più
per l’intera industria degli alcolici, che dopo il boom di vendite durante
la pandemia – quando un bicchiere in isolamento era l’unico svago consentito
– è appena uscita da un vero annus horribilis. Una «normalizzazione»
(copyright di Pernod Ricard) o più precisamente un periodo di «difficoltà
sostanziale» (copyright di un report di Noble & Co.) che rischia di
costringere grandi e piccoli soggetti a ripensare obiettivi e sistema di
business e che ha cause eterogenee. Perché da sempre bere alcolici ha a che
fare con l’agricoltura e la cultura, la società e la religione, l’industria
e il mercato.

Consumi in calo

Tutto ha inizio negli Stati Uniti, dove nel 2023 per la prima volta in
trent’anni il consumo di alcolici era calato del 2%. L’anno scorso, la
flessione è stata invece globale e più consistente del previsto: -2,6%.
Secondo lo studio Nielsen Beverage alcohol year in review, nel 2024 l’indice
TBA (Total beverage of alcohol) ha fatto segnare un declino sia per valore
sia per volume: moderato per la birra (-0,7% e -2,9%), medio per gli spiriti
(-1,1% e -2,3%) e sensibile per il vino (-3,5% e -5,3%). La Scotch Whisky
Association ha comunicato un crollo anunale del 18% dell’export del whisky
scozzese, il cognac ha esaurito la sua carica di marketing fra i giovani
rapper della West Coast, il gin – protagonista di un decennio esplosivo – ha
fatto segnare un -14% nel Regno Unito, la vodka ha patito le sanzioni e la
guerra in Ucraina. Perfino il tequila, forse l’unica categoria che tiene,
non cresce quanto si sperava, con conseguente crollo del prezzo dell’agave
in seguito all’extra produzione. Insomma, complice anche l’impennata
generale dell’inflazione che ha colpito il lusso e i consumi voluttuari,
banalmente l’anno scorso il pianeta Terra ha bevuto meno. Buon per il fegato
globale, meno per il business.

Tassi alti, investimenti arditi

Il generale ottimismo nel settore, che dura da ben prima della pandemia con
la già citata «gin fever», la moda dei birrifici artigianali, l’enoturismo,
la nuova età dell’oro del whisky (in Irlanda si è passati da 4 a oltre 50
distillerie, in Francia si sono superate le cento e perfino in Italia ci
sono ormai una dozzina di produttori), aveva portato investimenti mostruosi
ad ogni livello. Se Diageo, il principale attore sulla scena, nel 2017 ha
comprato Casamigos, il marchio di tequila di George Clooney, per un miliardo
di dollari e ha speso centinaia di milioni di sterline per riaprire
distillerie di Scotch chiuse nel 1983, i piccoli investitori hanno mosso
grandi fortune per bottiglie rare (a proposito, sono crollate anche le
quotazioni in asta) e barili. In mezzo, realtà medie che hanno fatto passi
che ora – dopo anni di rialzo dei tassi di interesse – si dimostrano più
lunghi della gamba, o quantomeno passi che non godono più dei fidi
illimitati delle banche. Mackmyra, distilleria svedese di whisky con 25 anni
di attività, ha dichiarato bancarotta; altrettanto sta facendo Waterford,
innovativo brand irlandese. La gallese Penderyn e la scozzese Glenglassaugh
hanno messo in pausa la produzione. L’italiana Compagnia dei Caraibi, in
seguito al fallimento della controllata Elephant Gin, ha perso quasi l’86%
in Borsa. Sulla riva del fiume iniziano a passare i primi cadaveri, ma
nessun nemico può dirsi soddisfatto.

I guai in Borsa

Una tale congiuntura economica di flessione nei risultati ed esposizione
finanziaria delicata, unita agli stock di invenduto e alla conseguente
svendita per smaltirli, non poteva che riflettersi sui mercati. Senza
pretese di esaustività, i risultati degli ultimi 12 mesi di Borsa dei
colossi degli spirits sono un cimitero di segni meno: Diageo -23,8%, Pernod
Ricard -36,2%, Brown-Forman -45,6%, LVMH -11,8%, la cinese Kweichow Moutai
-13,6%, la giapponese Suntory -5,4%. Stessa sorte per la birra, dal -15% di
Heineken al -9% di Carlsberg. Discorso a parte merita Campari (-45,5%), il
gioiello italiano del settore, che ha attraversato un Vietnam gestionale:
l’addio a sorpresa del CEO Simone Fantacchiotti, sostituito prima ad interim
dallo storico predecessore Bob Kunze-Concewitz e solo recentemente da Simon
Hunt, ha pesato almeno quanto il calo di vendite (da 2,9 a 2,2 miliardi),
trascinato dal crollo del mercato asiatico.

Oriente, gioie e dolori

Ecco, l’Asia è un grande punto interrogativo. La tardiva ma inesauribile
sete di distillati e vino di Cina, Taiwan, Singapore e India è stata tra i
veicoli di traino del settore. Ha perfino «drogato» i prezzi, soprattutto
per il whisky, che per miliardi di persone è diventato status symbol. Il
risultato è stato un’impennata speculativa dei prezzi, una necessità di
aumentare la produzione e uno slittamento del focus commerciale ad Est. La
crisi immobiliare di Pechino ha di fatto messo il guinzaglio agli
investimenti, mentre le tariffe Ue del 35% sulle auto elettriche hanno
innescato la rappresaglia dell’inchiesta per dumping sugli alcolici europei.
Morale, il Bengodi del Far East che prometteva di comprare a qualsiasi
prezzo qualsiasi liquido si è improvvisamente raffreddato. Diversa la
situazione indiana, ottavo mercato per volume (45 miliardi di dollari
l’anno), dove il problema è stato la burocrazia e la lentezza – molto
indiana… – dei pagamenti: lo Stato del Telangana, per dire, deve mezzo
miliardo alle compagnie occidentali. Chiude il cerchio la crisi della
logistica del 2023, con tappi, cartoni, etichette e vetri introvabili, e
pure il maltempo, che nel 2024 ha falcidiato la stagione estiva degli
aperitivi.

Salute o demonizzazione?

Oltre alle cause economiche e geopolitiche, all’alba dei dazi trumpiano,
esistono altri ordini di problemi, il primo dei quali è di natura sanitaria.
Il report globale dell’OMS ha sancito che «ogni 10 secondi muore una persona
a causa dell’alcol» e che l’alcol è cancerogeno «come asbesto, radiazioni e
tabacco»; la rivista Lancet nel 2023 aveva portato evidenze scientifiche del
fatto che «non esiste consumo di alcol senza danni alla salute». E così via.
Le conseguenze sono state, sono e saranno importanti. In Irlanda dal 2026
ogni bevanda alcolica dovrà riportare in etichetta il link con i tumori,
come le sigarette. Stessa cosa avverrà in molti altri Paesi, che con
l’obiettivo – o la scusa – della salute aumenteranno le accise come la Gran
Bretagna, dove è in vigore la tassazione più alta del G7. Ma se la crociata
per un consumo responsabile è sacrosanta, meno lo è la demonizzazione totale
portata avanti da una vera e propria «lobby salutista». (*) Singolare il
caso portato alla luce da Nick Morgan, ex global marketing director per il
whisky di malto di Diageo in un suo intervento su barleymagazine.com: il
whisky e gli altri distillati sono stati inseriti nella categoria UPF (Ultra
processed food) della cosiddetta classificazione Nova del cibo: in sostanza,
anche se sono prodotti semplicemente con acqua, lievito e cereali (o agave,
o vinacce) e senza additivi chimici, sono equiparati al cibo spazzatura, al
pari di bibite iperzuccherine e hot dog. A cascata, i distillati sono
diventati brutti e cattivi, non solo per motivi medici, ma anche «etici».
Gli attivisti del cibo, parenti di quelli dell’ambiente, li hanno messi alla
berlina: «Dopo Big Pharma, Big Alcohol è la nuova corporazione malvagia da
combattere», chiosa il dottor Morgan. Dal consumo consapevole allo stigma
per qualsiasi consumo.

Una generazione di astemi

La propaganda anti-alcol attecchisce soprattutto tra le nuove generazioni,
lontane dal Temperance Movement che predicava l’astensione dagli alcolici
durante il Proibizionismo, ma pure dagli eccessi di Baby Boomers,
Generazione X e pure Millennials. Due dati balzano all’occhio: secondo i
dati IWSR, la percentuale di ragazzi che non beve alcolici in ognuno dei 15
mercati presi in analisi è superiore delle altre fasce d’età e l’86% è
preoccupato degli effetti dell’alcol sulla salute. Così si spiega il boom
del «no & low», cioè prodotti analcolici o a basso tenore alcolico, un
business che crescerà di 4 miliardi di dollari di valore entro il 2028,
trascinato proprio dai giovanissimi, per cui bere alcolici non è più trendy.
Anche qui, oltre al motivo salutistico ci sono le ombre: la sempre minore
socialità dei ragazzi, la sostituzione degli alcolici con i più economici
prodotti cannabinoidi leggeri. «Ma se le congiunture di mercato sono
cicliche, il cambio generazionale di abitudini – spiega Morgan – ha
ripercussioni più lunghe». La ricerca del tanto agognato «nuovo
consumatore», perseguita dai marchi con packaging e campagne di
comunicazione sempre più giovanilistiche, si annuncia complicata.

Il futuro (e il Codice della Strada…)

Dunque, andiamo verso un mondo distopico di tee-totaller, gli astemi che si
appuntavano la coccarda blu nell’Ottocento? Forse, ma non subito. Gli
analisti prevedono una timida ripresa del settore nel 2025 (+0,4%, dati
IWSR), grazie – chi si rivede – a India e Cina. L’Occidente è tutta un’altra
storia, che ha a che fare con un clima vagamente puritano e una maggiore
attenzione alle implicazioni sociali, che si esprime anche nelle nuove,
severissime regole per chi si mette alla guida sotto l’effetto di alcolici:
l’entrata in vigore del nuovo Codice della strada, ad esempio, ha gettato
nello sconforto ristoratori e gestori di bar e pub, che denunciano un crollo
del 30% dei consumi. Di certo in questo quadro le compagnie dovranno darsi
da fare: magari limare l’esorbitante rincaro delle bottiglie, dove la
«premiumizzazione» dei prezzi non è andata di pari passo con la qualità; e
ancora riorganizzare l’offerta, inventare nuove strategie.

Sperando che non si avveri la profezia del Vangelo secondo Luca, quando
l’angelo vaticina l’arrivo del Battista, un uomo del futuro che «non berrà
né vino, né bevande inebrianti e sarà pieno di Spirito Santo fin dal grembo
di sua madre».

Lo Spirito Santo, malauguratamente, non fa utili e non riempie gli scaffali.

(*) Nota: siamo sicuri che la lobby non sia piuttosto quella che porta
avanti messaggi del tipo “la crociata per un consumo responsabile è
sacrosanta”?

WINENEWS

“Non abbiamo mai vietato il vino senza alcol per la Comunione”: la Chiesa
d’Inghilterra fa chiarezza

Durante il rito dell’Eucaristia è lecito offrire vino analcolico e ostie
senza glutine, in nome dell’inclusività, secondo l’ente ecclesiastico

Nessuna discriminazione per chi, in Inghilterra, non beve alcol o non può
assumere glutine, ma vuole fare la Santa Comunione: dopo le polemiche dei
giorni scorsi la Chiesa d’Inghilterra fa chiarezza e dichiara, attraverso un
comunicato ufficiale, che “contrariamente a recenti resoconti in seguito a
una domanda posta da un membro del Sinodo generale, la Chiesa d’Inghilterra
non sta vietando le ostie senza glutine né il vino analcolico alla
Comunione”. Via libera oltremanica, dunque, a sostituti del cibo e della
bevanda simboli del sangue e del corpo di Gesù, in un’ottica di apertura e
inclusività.

Ai leader della Chiesa era stato chiesto di prendere in considerazione
l’idea di consentire vino analcolico e alternative al pane senza glutine
durante il rito dell’Eucaristia. Ma inizialmente il reverendo Michael
Ipgrave, vescovo di Lichfield e presidente della Commissione liturgica della
Chiesa, aveva affermato che il vino analcolico non può essere utilizzato
nella Santa Comunione: avrebbe violato la legge ecclesiastica poiché il
processo di fermentazione sarebbe stato “annullato”. Aveva anche affermato
che le alternative al grano come la farina di riso, la farina di patate o la
farina di tapioca non potevano essere utilizzate per preparare il pane o le
cialde assunte durante il rito.

La Santa Comunione è un sacramento chiave della fede cristiana. I fedeli
prendono pane e vino, che simboleggiano il corpo e il sangue di Cristo: il
servizio è un memoriale della morte e della resurrezione di Gesù. Il diritto
canonico stabilisce che il pane deve essere fatto con la “migliore e più
pura farina di grano che si possa ottenere facilmente, e il vino con il
succo fermentato dell’uva, buono e sano”. Tuttavia, alcuni sacerdoti e
fedeli non possono consumare glutine e alcol, quindi non possono assumere il
pane o il vino. Dopo una riunione di cinque giorni a Londra del Sinodo
generale, l’organismo legislativo della Chiesa d’Inghilterra, l’autorità
ecclesiastica ha tenuto a precisare che “le chiese in tutto il Paese offrono
già regolarmente pane senza glutine o vino analcolico alla Santa Comunione.
Molti fornitori ecclesiastici professionali hanno da tempo fornito vino o
pane che possono contenere piccole tracce di alcol o glutine che possono
legittimamente essere considerati analcolici o senza glutine”. L’istituzione
ha anche fornito un elenco di prodotti approvati da Coeliac UK, l’organismo
ufficiale che certifica i prodotti senza glutine.

QUICOMO

Domenica alcolica a Como e provincia: ecco quante ambulanze per soccorrere
chi ha bevuto troppo

Pomeriggio movimentato a Como e provincia: numerosi interventi del 118 per
intossicazione etilica. Scopri dove e quante ambulanze sono intervenute.

Domenica pomeriggio a tasso alcolico altissimo a Como e provincia. Numerosi
gli interventi del 118 Areu per soccorrere persone che avevano bevuto
troppo.

Il susseguirsi di sirene è iniziato già dalle 14 di ieri, domenica 16
febbraio. Il primo intervento è avvenuto alle 14:13 a Montano Lucino, dove
un’ambulanza della Croce Azzurra ha raggiunto via Enzo Ratti per soccorrere
una donna di 30 anni in codice giallo (media gravità). Sul posto anche i
Carabinieri di Cantù.

Alle 16:56 in via Mentana a Como, una 37enne è stata trasportata
all’ospedale Valduce dalla Croce Rossa per intossicazione etilica.

Poco dopo, alle 17:28 a Cantù, in stazione, un altro intervento per una
persona ubriaca: i soccorritori della Croce Rossa sono giunti sul posto, ma
non è stato necessario il ricovero.

La serata è proseguita con un altro episodio a Cantù, in via Brighi, alle
19:55: un uomo di 45 anni è stato soccorso dal 118 e trasportato
all’ospedale della città per eccessivo consumo di alcol.

Infine, alle 20:21 a Erba, in via Dante, un’ambulanza è intervenuta per
un’altra persona che aveva alzato troppo il gomito, ma non è stato
necessario il trasporto in ospedale.

Secondo i dati di Areu (Agenzia Regionale Emergenza Urgenza), quasi la metà
degli interventi del pomeriggio in provincia di Como sono stati per
intossicazione etilica. Una domenica all’insegna dell’eccesso, con il 118
impegnato a fronteggiare l’emergenza alcol.

DISSAPORE

Ai Mondiali del 2034 non ci sarà una goccia di alcol: che diranno gli
sponsor?

I Mondiali 2034 si terranno in Arabia Saudita, e un ambasciatore ha
confermato ai media inglesi che non ci sarà una goccia di alcol. Qualcuno ha
detto “déjà vu”?

di Luca Venturino

Déjà vu? Tranquilli, è comprensibile. Lo scorso dicembre la Fifa confermò in
sede ufficiale che l’Arabia Saudita, forte dell’unica candidatura per
l’evento, avrebbe ospitato i Mondiali 2034. Nelle ultime ore il principe
Khalid bin Bandar Al Saud, ambasciatore saudita, ha ribadito che nel Paese
in questione “non c’è una goccia di alcol“, e che la Coppa del Mondo non
sarà eccezione.

Tracciare il parallelo con i Mondiali in Qatar del 2022 è quasi un obbligo.
Al di là di sessioni di caccia alla pinta da parte di questa o quella
tifoseria, infatti, la famiglia reale aveva chiesto il divieto assoluto di
vendita di alcolici allo stadio. Alla notizia della messa al bando ufficiale
la Budweiser, partner ufficiale dell’evento, si era limitata a un laconico
“Well, this is awkward…” su Twitter. E ora?

Quello che già sappiamo sui Mondiali 2034

Le parole di al Saud non lasciano spazio al malinteso: “Al momento, la
vendita di alcol non è permessa” ha spiegato ai colleghi di casa LBC. “Ci si
può divertire anche senza bere. Se i visitatori vorranno bere una volta
tornati a casa saranno liberi di farlo, ma al momento non ci sono alcolici
qui”.

I giornalisti d’Oltremanica gli hanno fatto notare che il suo approccio
avrebbe potuto essere inteso come poco accogliente. Ma il nostro non ha
tentennato: “Ognuno ha la propria cultura. Siamo felici di accogliere le
persone entro i confini della nostra, ma non andremo a cambiarla per qualcun
altro”.

La voce, com’è ovvio, si è già sparsa per le praterie dell’internet
innescando polemiche più o meno sterili. Qualcuno, però, l’ha presa sul
ridere: “Fatemi capire: dovrò essere perfettamente sobrio mentre perderemo
un’altra finale?” ha commentato un tifoso inglese evidentemente ottimista.
Chi l’ha detto che i tre leoni arriveranno in finale?

Tra un grattacielo scintillante e una gola prigioniera dell’arsura, però,
sono in pochi a mantenere l’attenzione su temi come il petrolio, i diritti
civili (o la loro mancanza), le libertà individuali e l’effettiva
sostenibilità di progetti come le piste da sci nel deserto. Ma non
divaghiamo.

La grande incognita, di fatto, rimane i termini del futuro accordo tra la
FIFA e lo sponsor alcolico di turno per i Mondiali 2034. In Qatar, dicevamo,
c’era la Budweiser; che alla fine decise di donare tutta la birra invenduta
alla squadra vincitrice. Da Leo Messi & Co, però, non è mai giunta conferma.

GAZZETTA.IT

Cocktail analcolici e low alcol: una (giusta) tendenza in pieno sviluppo

Il bere con una dose inferiore di alcol o senza sta conquistando un numero
sempre maggiore di persone. Ne parliamo con tre esperti che ci hanno
regalato anche la ricetta di un drink

Maurizio Bertera

Che si beva meno alcol è certo. Persino in Italia, uno dei due grandi Paesi
del vino (l’altro è la Francia, ovviamente) nelle carte dei migliori
ristoranti stanno entrando le etichette dealcolate e low alcol. E da poco
viene concessa la possibilità alle nostre cantine di produrlo in patria, non
a caso al prossimo Vinitaly (6-9 aprile) ci sarà uno spazio non indifferente
per il settore. Il tema è diventato di stretta attualità da quando è entrato
in vigore il nuovo Codice della Strada, molto più severo verso chi guida con
un tasso alcolemico sopra la norma. Ma in realtà, la tendenza è iniziata
qualche anno fa nel mondo del bere miscelato, inizialmente a Londra e New
York – capitali della mixology – e poi nel resto del mondo, compresi i
migliori cocktail bar del nostro Paese.

Oggi è sempre più facile imbattersi in drink di assoluto livello, che si
prestano particolarmente a quanti – per scelta o per vocazione – non amano
l’alcol o ancora di più vogliono bere al top diminuendo la componente
alcolica. Per ragioni di salute, per tenere una buona forma fisica o
semplicemente per uno stile di vita diverso da quello di un tempo, senza
rinunciare al piacere di un buon cocktail. Ne abbiamo parlato con tre
‘grandi firme’ della mixology italiana, impegnati nei locali di Milano che
va considerata la città che anche in questo caso traccia la rotta nel nostro
Paese. Il plus? Ci hanno regalato la ricetta per preparare uno dei loro
‘signature drink’ a casa.

AL LAVORO SUGLI AFTER DINNER— Per Abi El Attaoui, bar manager del notissimo
Ceresio 7 di Milano, non è più una svolta ma una tendenza. “Ovvio che le
nuove regole hanno dato impulso, ma da noi il pubblico non viene per
sbronzarsi ma per bere bene: attualmente la nostra carta Anyma prevede un
paio di cocktail low alcol che aumenteranno a breve e da 4 a 6. La nostra
filosofia, in generale, è quella di abbassare il ‘peso’ dei drink,
utilizzando l’alcol solo per dare la struttura e giocando sull’estrazione
degli altri ingredienti per renderlo ‘rotondo’ e piacevole. Sull’aperitivo
abbiamo raggiunto grandi risultati, ora sarà interessante sviluppare
ulteriormente il tema dei cocktail after dinner, magari con il bourbon come
l’Old Fashioned che già ora serviamo in una variante ‘depotenziata’ che
piace molto ” dice. La proposta per i lettori di Gazzetta Active è un
raffinato low alcol quale l’Eneldo Daiquiri che richiede inizialmente la
preparazione di un cordiale di mele e aneto: “Tagliate mezza mela verde a
fette e mettetela nel frullatore. Aggiungete 5 g di aneto, 150 g di
zucchero, 200 ml di acqua, 6 g di acido citrico e 3 g di sale. Frullate bene
fino a ottenere una consistenza omogenea, poi filtrate il composto con un
panno di carta per ottenere un liquido chiaro e setoso”. Il cocktail vero e
proprio si prepara in un bicchiere con ghiaccio. “Basta mescolare 45 ml del
cordiale di mele e aneto con 30 ml di Rhum e 15 ml di verjus, un classico
succo d’uva. Per chi preferisce una bevanda effervescente e ancora più
leggera, è possibile aggiungere della soda o dell’acqua gassata” spiega Abi
El Attaoui.

preparati di frutta— Ci spostiamo in pieno centro, al Mandarin Garden –
luogo tra i più raffinati e amati dai milanesi – per sentire il parere di
Guglielmo Miriello, direttore del locale all’interno del Mandarin Hotel e
autore della drink list insieme al bar manager Gaetano Ascone. “Abbiamo
sempre guardato con molta attenzione al tema, tanto da avere in carta
quattro drink analcolici e tre low alcol. Utilizziamo dei preparati di
frutta fresca, quelli che tecnicamente si chiamano Shrub e Sherbet, senza
alcol e molto profumati. I cocktail che ne escono sono apprezzati
particolarmente dal pubblico italiano mentre gli stranieri hanno un gusto
generalmente più classico. Comunque, la tendenza è verso i no-alcol con una
richiesta sempre maggiore di diminuire anche la componente zuccherina. Da
qui l’utilizzo di soda con zucchero di canna e di soft drink con additivi”
sottolinea Miriello. Il cocktail analcolico del Mandarin Garden da provare a
casa? Si chiama Paloma, da preparare in un tumbler alto, colmo di ghiaccio.
“Si mixano delicatamente 50 ml di Seedlip Grove, un distilato analcolico
agli agrumi, con 20 ml succo di lime e 15 ml di sciroppo di agave. Si colma
con soda al polpelmo rosa che gli regala un colore molto elegante” spiega
Miriello.

OCCHIO AI DISTILLATI— La tendenza si avverte anche a Lubna, il listening
restaurant bar aperto da poco nel quartiere emergente intorno alla Torre
Prada. La sezione beverage è affidata al bar manager Giovanni Allario che ha
portato Moebius – locale della stessa proprietà – al 38° posto nella The
World’s 50 Best Bars 2024. “Quando sono rientrato da Parigi nel 2022, ho
messo a frutto la mia esperienza in un Paese dove era molto alto il numero
delle persone che volevano i drink senza alcol. Oggi ne abbiamo tre di
questa tipologia e tre a basso tenore alcolico, che vengono richiesti
soprattutto dalla fascia tra i 25 e i 45 anni di età. Tante donne e anche
tanti stranieri. In generale, è cambiata la percezione del cocktail: il
pubblico li ama più leggeri e raffinati, al di là della presenza o meno di
alcol. Perchè tengo sempre a ricordare che un distillato non perde mai la
sua gradazione, intorno ai 40% vol. , e quindi non va preso sottogamba. Il
segreto è toglierne il ‘peso’ allungandolo con altri ingredienti” racconta
Allario. Difatti, il cocktail che ci propone è il Paloma che fa parte della
categoria low alcol “Si mescolano 40 ml di Campari e 5 ml di Mezcal in un
contenitore con coperchio, aggiungendo un grammo di foglie di basilico. Si
lascia riposare in frigo una notte, si filtrare e si versa l’infuso in un
bicchiere riempito di ghiaccio dove si aggiungono 45 ml di succo di pompelmo
e 40 ml di soda. Si mescolare e si guarnisce con una foglia di basilico”
Notevole.

LA VOCE DI ALBA

Il Punto di Beppe Gandolfo

Vogliono farci smettere di bere vino?

“Non è una boutade. L’ ipotesi è assai realistica: l’Unione europea
vorrebbe, infatti, impegnarsi ad apporre delle scritte sulle bottiglie,
finalizzate a scoraggiare l’uso di alcolici, oltre ad aumentare la
tassazione sul consumo di vino”.

“Nuoce alla tua salute”. “Questo prodotto provoca dipendenza”. “Fumare fa
male a te e a chi ti sta vicino”. “Il fumo provoca il cancro”. Ormai abbiamo
fatto l’abitudine a queste scritte sui pacchetti di sigarette, e anche alle
crude e macabre foto che accompagnano questi avvisi allarmistici.

Ma se scritte e foto comparissero sulle belle etichette delle bottiglie di
vino?

Non è una boutade. L’ ipotesi è assai realistica: l’Unione europea vorrebbe,
infatti, impegnarsi ad apporre delle scritte sulle bottiglie, finalizzate a
scoraggiare l’uso di alcolici, oltre ad aumentare la tassazione sul consumo
di vino.

Una follia tutta ideologica? Certamente la prevenzione e la promozione di
stili di vita sani sono obiettivi fondamentali, che meritano il massimo
impegno da parte delle Istituzioni e della società.

Ma non credo che le campagne allarmistiche perseguano questi scopi, più che
meritori. O se invece non siano subdoli modi per aumentare la pressione
fiscale su un settore che in Italia è vitale e prospero: 240mila i
viticoltori italiani che offrono opportunità di lavoro per 1,3 milioni di
occupati. Il comparto conta ben 6.500 imprese, 16.800 ettari di superficie
vitata e una produzione di quasi 1 milione di ettolitri, pari a circa 100
milioni di bottiglie all’anno, perlopiù a marchio DOC o DOCG.

Il vino rappresenta un patrimonio importantissimo del Made in Italy.

Le nostre forze sindacali (la Coldiretti è già pronta alla mobilitazione) e
le forze politiche debbono difenderlo da tentativi di colpevolizzazione,
senza tener conto di una storia millenaria che ha contribuito, non solo a
far grande il nostro sistema agroalimentare, ma si inserisce appieno nella
Dieta Mediterranea, che in questi anni ha visto gli italiani primeggiare per
longevità a livello europeo e mondiale.

Come sempre va punito l’abuso e non il parco consumo.

E poi, educhiamo i giovani a bere consapevolmente, senza rovinare le belle
etichette delle nostre bottiglie di vino con scritte allarmistiche, inutili
e deturpanti. (*)

Beppe Gandolfo

(*) Nota: le sacrosante avvertenze in etichetta sono un dovuto segno di
informazione e trasparenza sul contenuto del prodotto. Premesso questo, la
diminuzione dei consumi alcolici è un obiettivo da perseguire per migliorare
la salute e il benessere della popolazione. Anche la longevità.

WINENEWS

Il vino si sente “sotto attacco” e chiede risposte all’Ue su salute e Ocm.
Ed è pronto alla “piazza”

Spunti e riflessioni su un settore strategico per l’Italia e l’Europa, dagli
“Stati Generali del Vino”, di scena, oggi, in Campidoglio a Roma

La consapevolezza che i giochi, anche per il vino (come per molti altri
settori), si fanno in Ue; il disorientamento dato da un atteggiamento quasi
“da Giano bifronte” della Commissione Ue, che da un lato promette sostegno
al settore, con il Commissario all’Agricoltura Christophe Hansen (che nei
prossimi giorni pubblicherà la sua road map sulla riforma della Pac, ed in
marzo un pacchetto di misure specifiche per il vino), ma, dall’altro, vuole
limitarne comunicazione, promozione e consumo, intervenendo su tasse e
accise, nel Beca (Beating Cancer Plan), senza fare distinzione tra consumo
moderato e abuso di alcolici, anche in modo poco comprensibile visto che il
Parlamento Ue, che è la più diretta espressione del voto dei cittadini, è
andato in senso opposto, come ricordato dal Ministro dell’Agricoltura,
Francesco Lollobrigida (che WineNews ha intervistato). E ancora, un’Ocm
sempre più fondamentale per aprire nuovi mercati, ma diventata sempre più
burocraticamente complicata, a volte fino al punto di intimorire o
addirittura scoraggiare le aziende, soprattutto quelle più piccole, a farvi
ricorso, al punto che non tutta viene utilizzata, con tanti fondi che
ritornano in Ue. Tutto questo, nella cornice di un mercato che nei Paesi
maturi è in contrazione, cosa che spinge ad aprirne dei nuovi, per visione e
per necessità, e che rimette in discussione anche le misure per
riequilibrare domanda e offerta, a partire dagli estirpi, ma non solo, come
sottolineato, tra gli altri, dalle rappresentanze della filiera, nelle
parole di Albiera Antinori (Federvini), Lamberto Frescobaldi (Unione
Italiana Vini – Uiv) e Luca Rigotti (Confcooperative e Copa Cogeca), ma
anche dai vertici di Coldiretti (Dominga Cotarella), Confagricoltura
(Alberto Statti), Federdoc (Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi), e
Cia-Agricoltori (Cristiano Fini), con una visione condivisa da tanti
europarlamentari italiani di ogni schieramento. E con un mondo del vino
compatto nel voler crescere, e nel voler essere ancora di più motore di
sviluppo e di ricchezza per aziende e territori, ma anche pronto a
difendersi con ogni mezzo, “anche scendendo in piazza, in maniera
democratica, per far sentire la nostra voce e difendere una bandiera del
made in Italy”, come ha detto, a WineNews, il presidente Assoenologi
Riccardo Cotarella. Messaggi e spunti tra i tanti emersi oggi, a Roma, in
Campidoglio, agli Stati Generali del Vino organizzati dalle rappresentanze
del Parlamento Europeo e della Commissione Europea in Italia.

“È vero che ci sono tanti segnali contrastanti dal mondo, sul fronte Usa, e
anche dalla Commissione Europea, ma sia sul piano della semplificazione che
del sostegno al vino, che della revisione del Beca, dal Parlamento in questi
mesi sono arrivati segnali rassicuranti, quindi l’attenzione è alta, se ne
discute, ma nessuno nel Parlamento vuole penalizzare un settore fondamentale
per l’Europa e per l’Italia, come il vino”, ha sottolineato Carlo Corazza,
direttore del Parlamento Europeo in Italia. Parole a cui hanno fatto ecco
quelle di Antonella Sberna, vice presidente del Parlamento Europeo: “è
importante incontrarsi, all’avvio di questa nuova legislatura. La
consapevolezza di quanto l’Europa incide sulla vita di tutti, e delle
aziende, cresce. La nostra missione è quella di difendere il sistema Italia
all’interno del sistema Europa, anche per un settore fondamentale come il
vino. Difendere il vino vuol dire difendere una tradizione, una storia, una
cultura, un’identità”.

Parole incoraggianti, in qualche modo, a sostegno di un settore vitivinicolo
europeo che continua a rappresentare uno dei pilastri della Politica
agricola comune (Pac) e una delle eccellenze dell’Unione Europea. Con una
produzione annua che supera i 160 milioni di ettolitri, l’Ue rimane,
infatti, il leader mondiale del settore, contribuendo al 45% delle superfici
viticole globali, al 63% della produzione e al 48% del consumo mondiale di
vino. La viticoltura coinvolge più di 3,2 milioni di ettari e circa 2,5
milioni di aziende vitivinicole, generando oltre 3 milioni di posti di
lavoro diretti, a cui si sommano numerosi impieghi indiretti lungo la
filiera. Italia, Francia e Spagna, principali produttori dell’Ue, continuano
a rappresentare quasi la metà della produzione globale. Eppure, dalle parole
ai fatti, il passo spesso è lungo. E secondo il Ministro dell’Agricoltura,
Francesco Lollobrigida, “serve una riflessione sugli obiettivi dell’Unione
Europea. La Commissione deve riportarsi ad un ragionamento che abbia un
senso, mentre parliamo di guerre commerciali che potrebbero avere
conseguenze pesanti sulle economie del mondo, e dobbiamo riflettere sugli
agenti interni che potrebbero fare un danno, ancora maggiore, alla nostra
economia. Sicuramente l’export con i dazi sarebbe penalizzato, ma forse è
bene domandarsi se farebbe peggio il calo dei consumi legato a potenziali
etichette allarmistiche. Ed è strano vedere come, quando si parla di
difendere settori, identità e così via, ci sia unità politica, trasversale,
anche tra diversi schieramenti partitici, ma poi a Bruxelles ci sia chi
vuole fare il contrario dell’indirizzo politico che viene espresso. Chi
vuole indebolire il settore punta sempre sul tema salute. Oggi abbiamo una
comunità scientifica che non si divide sull’alcol, che è un fattore di
rischio per la salute, senza dubbio. Ma il vino è molto di più, c’è molto di
più dell’alcol, è un elemento che ci accompagna da millenni. Il vino
consumato in maniera morigerata e con una dieta appropriata, produce salute,
dobbiamo avere il coraggio di dirlo (*), lo vediamo dalla longevità dei
popoli che lo consumano nella loro quotidianità. La Commissione deve fare
questa riflessione, non può esserne esente. Quella a cui assistiamo –
aggiunge Lollobrigida – è un’impostazione che arriva da una Commissione che
negli ultimi 5 anni ha pensato che si devono educare gli agricoltori al
rispetto dell’ambiente, cioè a quello da cui traggono “il pane”, come se non
fosse nel loro primario interesse tutelarlo. Non esiste modo migliore per
tutelare l’ambiente di una buona agricoltura, per questo sono giusti i
sostegni al settore. Le etichette allarmistiche che si tornano a proporre,
però, non hanno senso: non c’è prodotto che abusato non fa male, neanche
l’acqua. Servono etichette informative, semmai, che indichino le giuste
quantità, che tutelino la qualità dei prodotti, che, peraltro, deve essere
pagata il giusto prezzo. In Europa dobbiamo riportare le cose alla
“ragione”, anche perché i cittadini vedano nell’Ue un sostegno e non un
ostacolo. Il 25 marzo ricorre l’anniversario dei Trattati di Roma, firmati
nel 1957, fondanti di un’Europa che tutelava l’agricoltura, e che
introduceva la Pac. Incontreremo il Commissario all’Agricoltura, lo
incontreremo proprio a Roma in quel giorno. Questa Commissione Ue è partita
meglio rispetto a quella passata, ma per ora sono solo parole. Vediamo
quante risorse ci saranno per l’agricoltura, se l’agricoltura avrà un
capitolo a parte, come mi auguro, e sarà tutto un calderone. Quando vedremo
Hansen cercheremo di fare anche un “villaggio” per mostrare come lavora
l’agricoltura italiana, e come lavora il vino. Ci occuperemo di dazi, ma
anche di evitare processi di “auto castrazione economica”. Speriamo e
vogliamo un’Europa che tutela il vino, non che lo attacca, e che informa e
non spaventa, che lotta contro l’abuso di alcol, e anche di vino, ma non
contro il consumo moderato”, ha detto Lollobrigida.

Parole, quelle del Ministro, largamente condivise dalla platea dei relatori.
A partire da Alberto Cirio, presidente Regione Piemonte ed ex
europarlamentare. “Da noi, in Piemonte il vino è una cosa serissima, vuol
dire presidio del territorio, tessuto sociale, economia, turismo. Nella mia
terra, un grande produttore come Bruno Ceretto dice: “non c’è più il vino
buono e cattivo, c’è il vino che si vende e quello che non si vende”.
Ovvero, c’è la consapevolezza che ormai la qualità c’è ovunque, e che il
vino buono lo fanno in tanti: bisogna continuare a farlo buono, ma anche a
raccontare, promuovere, vendere. La politica non deve creare lacci, non deve
creare problemi alle imprese. A volte in Europa – ha detto Cirio – si sono
fatte scelte sbagliate, che a volte abbiamo corretto, ma la battaglia sul
vino, in Europa, non è mai finita. Magari quella ideologica forse si è
attenuata, ma quella commerciale no. In Europa si parla di “Alcol Strategy”:
per qualcuno il vino è alcol e stop, ma il vino è altro, è un alimento vivo.
Le etichette che oggi in Irlanda sono realtà, a causa dell’incapacità
dell’Ue di bloccarle, perché la Commissione Ue non l’ha fatto, sono state un
modo per aprire la strada. Lo abbiamo vissuto qualche anno prima con la
“pantomima” sull’olio di palma – attacca Cirio – spacciata come questione di
sanità e di salute pubblica. I sostenitori di questa campagna erano i
produttori di olio di colza, il sostituto dell’olio di palma. Ma da nessuna
parte è scritto che l’olio di palma fa male. L’etichetta di quello che
mangio deve riportare quello che c’è, non quello che non c’è. Eppure è stato
un boom di “senza olio di palma”, che ha aperto una strada: compro non
guardando a quello che c’è, ma a quello che non c’è. E non è questione di
salute, perché senza zucchero per chi ha il diabete è giusto, senza glutine
per i celiaci è giusto, ma senza olio di palma? A che serve? Le calorie
nelle etichette di vino, per esempio, sono la stessa cosa. Lo fanno perché
ci sono già nella birra, che sembra che ne abbia meno. Ma se ne beve di più.
Noi dobbiamo cogliere l’opportunità di una nuova sensibilità in questa
legislatura Ue, parlare con franchezza e non pensare che questo tema sia nel
cassetto: è sempre attutale, e se non stiamo attenti e non siamo compatti,
una parte produttiva dell’Europa, quella del vino, avrà un grande danno”,
conclude Cirio.

Che questa fase di avvio della legislatura Ue, comunque, sia fondamentale,
lo ribadisce Herbert Dorfmann, parlamentare europeo, membro della
Commissione per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale, e relatore della
Strategia dal produttore al consumatore: “a Bruxelles è un momento
importante, siamo partiti bene sull’agricoltura, e non era difficile dopo
gli ultimi 5 anni. Il Commissario Hansen conosce il settore, anche il vino,
abbiamo sul tavolo i primi dossier sulle pratiche commerciali: per esempio,
in questa settimana arriverà la sua visione sul futuro della Pac per i
prossimi 5 anni, vediamo quali saranno le priorità, sicuramente forte
attenzione sarà riservata ai giovani, tema cruciale, e al loro rapporto con
il vino, che in termini di opportunità, è meglio di quello con
l’agricoltura. A marzo avremo una riunione sul pacchetto Ocm Vino, che
cercherà di trasformare in legge quello che è emerso dal Gruppo di Alto
Livello Vino. Si parla di estirpo, in alcuni casi può servire, ma non ne
sono un fan. Dobbiamo lavorare su misure “offensive”, per aprire nuovi
mercati e consolidare quelli storici, e in Parlamento cercheremo un percorso
veloce per farlo. E poi c’è il grande tema della riforma della Pac. E quello
del Beca: lo spirito che c’è dietro – ha detto Dorfmann – è sbagliato e
pericoloso, un attacco continuo al vino, ma anche al settore degli alcolici,
perché anche qui ci sono prodotti di grande storia e valore come grappa,
cognac e non solo, ma noi come Parlamento abbiamo sempre chiesto distinzione
tra consumo e abuso. E l’abuso non si risolve alzando le tasse, lo vediamo
in Europa, lo vediamo nel mondo: i Paesi dove ci sono tasse più alte,
spesso, hanno problemi di abuso più alti di altri. Anche le etichette che
entreranno in vigore in Irlanda il prossimo anno non vanno bene: se ognuno
mette le sue regole vuol dire che il mercato unico non c’è più. Serve grande
diplomazia in questa fase: l’Europa sta perdendo amici in maniera rapida, e
in questo momento sbattere le porte non va bene. Come rischiamo di fare con
l’America Latina, con l’accordo che abbiamo fatto dopo 25 anni e che ora
viene rimesso in discussione: analizziamo se ci sono e quali sono le
criticità dell’agricoltura, ma portiamo in porto i risultati”.

Fondamentale, come già successo in passato, che su certi temi “l’Italia e le
forze politiche lavorino come una sola squadra trasversale ai partiti – ha
detto l’europarlamentare Nicola Procaccini – giocando tutti con la stessa
maglia, come gli europarlamentari europei hanno fatto in passato, per
esempio sulla riforma delle Ig. C’è un’atmosfera migliore, rispetto al
passato, con la nuova legislatura, ma elementi come quelli contenuti nel
Beca preoccupano. A volte manca una visione sulla qualità della vita in
generale, non siamo solo una somma di ore vissute: conta la qualità della
vita, la capacità di apprezzare il bello della vita che è nella
quotidianità, di ciò che mangiamo, beviamo, dell’ambiente in cui viviamo”.

“Pensiamo all’Italia senza i suoi 660.000 ettari di vigneti. Sarebbe un
Paese più povero economicamente, meno bello dal punto di vista paesaggistico
– ha detto Dominga Cotarella, produttrice, con Famiglia Cotarella, e membro
della giunta esecutiva di Coldiretti – e non solo. Veniamo da cinque anni in
cui si è messa in discussione la figura dell’agricoltore, che è colui che
crea la bellezza del paesaggio. Cinque anni in cui il vino è stato messo in
discussione, ma nessuno mette in discussione prodotti ultraprocessati,
bevande piene di additivi chimici. Perché? Quali sono gli interessi dietro?
Il tema è delicato, non possiamo non dire quanto sia fondamentale consumare
nelle giuste quantità, quanto sia necessario il consumo corretto. Ma oltre a
contestare, dobbiamo proporre: stiamo lanciando come Coldiretti,
un’accademia su questo, dobbiamo formare non solo i giovani, ma anche il
personale delle nostre aziende. Dobbiamo fare cultura territoriale, dobbiamo
parlare del valore del mondo del vino non solo tra noi, tra addetti ai
lavori, ma anche e soprattutto a chi il vino non lo conosce”.

“Veniamo fuori da momenti difficili, anche per il cambiamento climatico che
sta mettendo in grande difficoltà le imprese, ma abbiamo necessità di avere
strumenti che ci aiutino a lavorare. Dell’Ocm Vino, abbiamo utilizzato solo
il 74% delle risorse, non possiamo rimandare indietro, in Ue, queste risorse
fondamentali”, cambia tiro, invece, Alberto Statti, anche lui produttore,
con la cantina Statti, in Calabria, e membro della giunta di
Confagricoltura.

Tema sui cui si innesta il commento di Albiera Antinori, presidente di
Marchesi Antinori, e presidente del Gruppo Vini di Federvini. “Più le cose
sono complicate, più crescere è difficile. L’Italia non riesce ad accedere a
tutti i fondi europei, che sono tanti, ma con l’Ocm è diventato
complicatissimo fare la rendicontazione, e fare programmazione. I grandi –
sottolinea – si organizzano in qualche modo, per i più piccoli è più
faticoso: servono risorse dedicate a questo tema. Perdiamo risorse e
opportunità, perché così come sono oggi questi fondi non diventano un
incentivo a fare di più, ma quasi un rimborso per un evento passato, e non
ha molto senso. Oggi il vino bisogna andare a venderlo nel mondo, bisogna
prendere la valigia e andare in giro, è questo che va supportato”.

“In Italia si vive sempre di più e più a lungo – rilancia Lamberto
Frescobaldi, presidente Unione Italiana Vini – Uiv, e alla guida del Gruppo
Frescobaldi – vuol dire che questa nostra dieta, che include anche il vino,
così male non è. (**) Il vino nasce dalla vigna, ma in Europa a volte si
fanno cose strane: c’è un regolamento che sostiene l’acquisto di macchinari
solo a bio metano o elettrici, che, ancora di fatto, non esistono per le
dimensioni aziendali previste. Ci sono mercati che vanno male: gli Usa hanno
fatto -6,3% nel 2023 in volume, e -7% nel 2024, nei consumi, la Germania sta
rallentando, e anche il mondo delle bollicine sta rallentando. Abbiamo
bisogno di tutti i mercati, come quello del Mercosur, per esempio. Oggi il
60% delle nostre esportazioni va in cinque mercati, ne vanno cercati altri,
e anche in questo senso l’Ocm promozione è fondamentale. In questi anni ha
aiutato tanto. Attenzione al Beca: non c’è solo il vino nel mirino, ma anche
la carne rossa o l’olio di oliva. Inoltre, stiamo assistendo ad un abbandono
della terra continuo, si parla di mezzo milione di ettari di Sau (Superficie
agricola utilizzabile) in meno in 10 anni. Dobbiamo tutelare il vigneto, che
tra tutte è la coltura che ha bisogno della maggior manodopera. Ed è quella
che muove l’economia del territorio. Il vigneto, non il vino, perché il vino
è fatto con l’uva”.

“Tutta l’agricoltura vive un momento di crisi: per l’economia, per le
tensioni mondiali, per il costo del denaro che erode il reddito di impresa,
per il potere di acquisto dei consumatori che è in calo. Abbiamo voluto il
Gruppo di Alto Livello Vino – sottolinea dal canto suo Luca Rigotti, che è
anche presidente del Gruppo Vino del Copa Cogeca – in cui c’è stato un
dialogo importante con tante richieste accolte, vediamo che riscontro
avranno. La promozione è sempre più importante, ma alcune cose vanno
cambiate. Oggi, per esempio, c’è un limite di 5 anni per fare progetti Ocm
sullo stesso mercato, e abbiamo chiesto che venga tolto, perché i mercati
vanno presidiati. E abbiamo chiesto di poter investire l’anno dopo, o su
altre misure, le risorse che non vengono investite, e che ora tornano in
Ue”.

L’Europa, in sintesi, per utilizzare le parole di Giangiacomo Gallarati
Scotti Bonaldi, presidente Federdoc, “deve avere una politica che faciliti
il lavoro delle imprese, anche nel nostro settore vino”. E “con una logica
che sia incentivante, e non punitiva, per esempio, nei confronti degli
agricoltori”, ha detto Paolo De Castro, ex parlamentare europeo, e relatore
della Riforma delle Indicazioni Geografiche. “Il tema chiave – ha aggiunto
Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola – è la semplificazione,
che a volte l’Unione Europea non ha aiutato a fare. Oggi nessuno si dice
contro l’economia circolare, contro la sostenibilità. Che, peraltro, non
danneggia l’economia: dagli studi di Symbola, in tutti i settori, le imprese
che si muovono verso la sostenibilità, investendo su fonti rinnovabili e
recupero di acqua, per esempio, che fanno innovazione di prodotto e di
processo, vanno meglio delle altre. Ed il vino è una straordinaria metafora
di tutto questo”.

Ma tanti altri sono stati gli spunti emersi dagli Stati Generali del vino.
Dalla necessità di aprire nuovi mercati anche attraverso le fiere, come
ricordato da Gianni Bruno, direttore di Vinitaly di Veronafiere, a quella di
“essere flessibili per intercettare consumi e consumatori che cambiano, ma
senza perdere identità, perché le mode passano”, ha ricordato il presidente
di Cia-Agricoltori Cristiano Fini, in un pensiero condiviso anche da Stefano
Sequinto, direttore del Consorzio dei Vini delle Venezie. Ancora, c’è chi ha
ricordato il bisogno di cambiare un linguaggio, “troppo vecchio e rivolto ai
più vecchi, e se non cambiamo siamo destinati a perdere”, ha detto il
direttore del Consorzio del Prosecco Doc Luca Giavi. Mentre di innovazione,
ma sul fronte prettamente agricolo, “tra digitale ed intelligenza
artificiale, ma sempre con l’uomo al centro, per fare qualità e valore,
valore che è fondamentale anche per fare sostenibilità vera, ambientale e
sociale, un valore di prodotto che si riflette nel valore del territorio”,
ha parlato Josè Rallo, alla guida della cantina siciliana Donnafugata. Ma si
è discusso anche di enoturismo, di cui la Sicilia è diventata una case
history di riferimento, come raccontato da Mariangela Cambria, presidente
Assovini Sicilia e produttrice con Cottanera. Alessandra Priante, presidente
Enit- Agenzia Nazionale del Turismo, ha sottolineato come, ormai, “più di un
terzo del turismo in Italia è legato alla ricerca di esperienze
enogastronomiche identitarie, nei territori, oltreché alla bontà dei
prodotti”. E che si possono trovare in tutta Italia, “e non più solo in
Piemonte o Toscana, che per anni sono state meta di riferimento. E questo
grazie al lavoro delle aziende e degli enologi”, ha concluso il presidente
Assoenologi, Riccardo Cotarella. Che ha aggiunto: “la tradizione è
importante, ma non possiamo più parlare solo di antichità, di nonni e padri.
Il vino è ricerca e innovazione. Che sono fondamentali. Il fenomeno Prosecco
ne è un esempio: è stata prima un’innovazione mentale, poi scientifica ed
imprenditoriale, che ha dato una grande dignità a territori, agricoltori e
produttori. Oggi, però, il vino è sotto attacco, come non lo è mai stato.
C’è chi ne vuole evidenziare solo gli aspetti negativi, dimenticando quelli
positivi, che sono molti di più. Quasi come ci fosse un disegno. E forse, se
le buone maniere non bastano, è anche ora di scendere in piazza,
democraticamente, contro chi denigra il vino, per difendere un settore che
fa parte della nostra storia, ma anche del nostro futuro”.

(*) Nota: è molto più coraggioso, e impopolare, dire le cose come stanno
davvero.

(**) Nota: non è serio mettere in relazione una questione complessa e
multifattoriale come la longevità di una popolazione con un solo fattore. Ma
se vogliamo stare a questo gioco – sbagliato – allora ricordiamo al
presidente dell’Unione Italiana Vini che “In Italia si vive sempre di più e
più a lungo” (come ha detto lui) in concomitanza con il crollo dei consumi
pro capite di vino, passati negli ultimi 60 anni da oltre 110 litri annui
pro capite a meno di 30.

Associazione Nuovo Paradigma O.d.V. – C.F. 91071720931

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